Sovranità, libertà e partecipazione

Una nuova pubblicazione in tre volumi è disponibile nelle librerie on line in formato digitale: Sovranità, libertà e partecipazione. Per un’etica politica globale di Ettore Perrella (Polimnia, 2022). Qui sotto la presentazione dei tre volumi.

I. La sovranità e l’eccezione
Presentazione
La pandemia e la guerra in Ucraina rendono attualissimi i contenuti di questo libro. Infatti, nei periodi in cui crollano le certezze, è particolarmente importante risalire ai princìpi. E la questione di principio che viene qui affrontata è la seguente: in che modo l’esercizio della sovranità può essere realmente democratico, per il fatto di rispettare la libertà dei singoli, senza opprimerli nelle maglie delle concezioni totalitarie dello Stato? La prima parte del libro sfata il mito della globalizzazione, che avrebbe dovuto produrre la pace e diffondere la democrazia, mentre in realtà ha favorito solo una sparuta minoranza di capitalisti, impoverendo la classe media e producendo delle inedite forme di schiavismo. In realtà la globalizzazione non ha prodotto nessuna nuova concezione della sovranità e quindi nessuna nuova scelta politica. Perciò qui si ripropone l’utopia universalistica formulata da Kant
nel suo breve testo La pace perpetua – per evitare per sempre le guerre è necessario che tutti gli Stati del pianeta si federino in uno solo – come l’unico modo per assicurare una globalizzazione realmente liberale, fondata su un esercizio concreto della democrazia. La seconda parte del volume riprende la concezione della sovranità proposta da Carl Schmitt. Solo chi non lo ha mai letto può ancora credere che Schmitt abbia dato un contributo al sorgere del nazismo. Egli ha dato invece un contributo essenziale alla comprensione della sovranità in tutte le sue forme giuridiche, perché ha dimostrato che la sovranità e il suo concreto esercizio politico sono necessariamente superiori alla legge: la legittimità si distingue dalla legalità proprio perché la sovranità opera sempre nello “stato d’eccezione”, vale a dire al di sopra dei limiti dello stato costituito.


II. I presupposti ebraico- cristiani della sovranità globalizzata
Presentazione
Gli ebrei sono stati per quasi due millenni l’unico popolo privo di uno Stato e di un territorio, ma risalgono a loro, ancora prima del cristianesimo e all’islam, le concezioni della teologia politica che poi furono riprese da Hobbes e Spinoza, fino all’illuminismo e al marxismo. Il massacro di milioni di ebrei nella shoah ha segnato inoltre un tratto di discontinuità nella storia ebraica, consentendo la ricostituzione di uno Stato d’Israele e chiamando in causa le problematiche teologico- politiche che sono sempre state alla base dell’antisemitismo. L’antisemitismo in effetti è sempre stato in contraddizione con il cristianesimo, che fin dall’inizio ha saputo tradurre la concezione teologico- politica ebraica in ter- mini universali e davvero globali. Quando Pilato chiede a Cristo se è lui il re dei giudei, Cristo gli risponde d’essere re, ma non su questa terra. Furono tuttavia gli ebrei, secondo i vangeli, a volere la morte del Messia. In realtà, mentre la teologia ebraica e quella islamica hanno sempre fondato la politica nella legge rivelata, solo il cristianesimo è sorto dal superamento dell’antico legalismo. L’imperativo cristiano dell’amore del prossimo non è più limitato ad un solo popolo, come accadeva nell’antico Testamento, ma è divenuto per la prima volta universale. Perciò solo la teologia politica cristiana, nonostante il successivo inquinamento con l’imperialismo costantiniano e, successivamente, con l’unzione regale, ha consentito di sganciare l’etica dalla morale, vale a dire l’atto dalla regola. Per il cristianesimo, la legge si è tradotta fin dal primo momento nell’imperativo davvero universale e sovra- statale della libertà etica ed individuale della scelta. Pur avendo indugiato a lungo in forme d’autocrazia legalistica, solo il messaggio cri- stiano poteva porre le basi della concezione kantiana e sovrastatale della sovranità. Perciò Cristo – il Messia Figlio di Dio, re dei cieli, ma non sulla terra – è stato il primo laico, che ha fondato nella fratellanza universale il supera m e n to etico della legge. L’intera vita umana, in questo modo, è posta nella prospettiva catecontica d’una rivelazione – apokálypsis – sempre rinviata. Per questo Agostino, dinanzi al naufragio catastrofico dell’Impero di Roma, avrebbe potuto aprire la prospettiva della provvisorietà terrena del potere politico. L’assoluto, per il cristianesimo, non è più lo Stato, ma la fratellanza davvero universale della Gerusalemme celeste. Non a caso, nel giudizio finale, Cristo afferma che lui stesso – l’unico Giudice – non giudicherà nessuno, perché su ciascuno dei risorti ricadranno i propri giudizi: si salve- ranno soltanto coloro che avranno seguito fedelmente il suo “non giudicate”, mentre tutti gli altri saranno condannati per sempre alla “seconda morte” della perdizione. La prospettiva del giudizio, come si vede, non dipende più dalla legge, ma dalla scelta individuale di non applicarla. L’universalismo marxiano e democratico presuppone questo sganciamento del piano dell’eticità da quello del rispetto delle regole. E l’utopia kantiana della pace perpetua in fondo altro non è che l’anticipazione terrena dell’apocalisse cristiana. E non è un caso che il famoso lapsus freudiano del nome del pittore che dipinse ad Orvieto il giudizio finale abbia da sempre agganciato la psicanalisi stessa al grande mito ebraico- cristiano dell’apocalisse.


III. Libertà e sovranità
Presentazione
Lo scientismo moderno, volendo spiegare ogni cosa in termini quantitativi, ha finito per negare la stessa possibilità della libertà della scelta. Ma, se nessuna scelta può essere libera, allora l’etica non si potrà più distinguer e dal rispetto d’una legge che non sarà più fondata in nessun atto sovrano, e quindi libero. Lo
scientismo ha finito così per elaborar e una teoria secondo la quale la mente in nulla si distinguerebbe dall’operatività d’una macchina. L’intelligenza artificiale, che i compute r consentono di produrre, aprirebbe così l’orizzonte orwelliano di un universo in tutto dominato dalle macchine. Certo, tutti sappiamo che i computer sono utilissimi, ma semplicemente perché le loro capacità di calcolo sono superiori a quelle della mente. Questo significa che la mente di noi viventi non è solo una macchina, ma anche qualcosa di profondamente diverso, connesso con la vita. Questo qualcosa viene chiamato psiche, come se questa parola, oggi, significasse qualcosa di diverso da quel che ha sempre significato, vale a dire anima. L’anima non è propria solo di noi esseri umani, capaci di parlare e quindi di pensare, ma anche di tutti gli animali – che si chiamano così proprio perché ne hanno una – e forse anche delle piante. La connessione fra la psiche e la vita è così forte che a volte la prima parola, quando interviene in un antico testo greco, dev’essere tradotta con la seconda: avere un’anima significa, semplicemente, vivere. La cibernetica non è stata l’unica scienza moderna a cancellare la vita dalla nostra esperienza, perché anche la psicologia e la psicanalisi hanno troppo spesso seguito questo pericoloso piano inclinato, a causa dell’inconscio, come se il funzionamento di quest’ultimo non si distinguesse in nulla da quello d’una macchina pensante. In realtà Freud ha sempre pensato che nulla di quello che si trova dell’inconscio
vi è entrato da qualcosa di diverso dalla coscienza. Anche la coscienza, del resto, è in buona parte inconscia. Ma questo non significa che la mente possa essere solo inconscia, visto che tutto ciò che vive si raddoppia, perché qualunque coscienza si produca per un essere vivente, fin dal famoso procariota di cui parla Freud, si produce necessariamente in una divisione, come manifesta la stessa parola coscienza (cumscientia ): quando noi viventi sappiamo, sappiamo sempre d’essere noi a sapere. La divisione del soggetto è insomma alla base della sua unità. Ed è forse per questo che il primo libro occidentale di politica, la Repubblica di Platone , si conclude con il mito dell’immortalità dell’anima.