ottobre 2021

pag. 1 “Alcune considerazioni su vita, morte e psicanalisi” di Vania Ori / pag. 2 “Stato d’eccezione: chi mette in pericolo la democrazia?” di Ettore Perrella


Alcune considerazioni su vita, morte e psicanalisi di Vania Ori

L’evento pandemia e la crisi

La lettura del libro La psicanalisi oltre la pandemia. Atto analitico, atto politico, atto sovrano1 di Ettore Perrella, mi ha dato modo di soffermarmi su questioni difficili. L’autore usa un linguaggio sobrio e chiaro, ma le situazioni e i problemi di cui parla sono tutt’altro che semplici.

Mi sono ricordata di una osservazione letta in un testo di Maud Mannoni, che dice: “Il desiderio di sapere, quando si tratta di psicanalisi, conduce in effetti a un sapere che fa orrore, avendo a che vedere con la castrazione”2. Effettivamente, in queste pagine mi sono imbattuta in punti e questioni che possono spaventare tanto da desiderare di rifuggirne, a cominciare dal tema principe della morte; ma non si tratta solo di quanto ha a che vedere con la castrazione, c’è dell’altro.

A partire dalla premessa, la prospettiva, scomoda, in cui il lettore si trova proiettato, prende le mosse dal “trauma” dell’evento “pandemia”. È bastato poco, nel “villaggio globale a quale s’è ridotto il nostro piccolo pianeta3, perché in pochissimo tempo la nostra vita e le quotidiane certezze su cui si fondava venisse travolta dal covid-19.

La pandemia, osserva l’autore, non ha solo interrotto per un certo periodo le “attività della nostra specie” ma “ha prodotto una cesura nettissima che ci costringe a rivedere tutto quello che prima pensavamo”4. E prosegue:

In questo breve libro parlerò di psicanalisi, ma lo farò tenendo conto di considerazioni-socio politiche generali. La psicanalisi, come qualunque altra pratica, non si svolge fuori dal mondo, nel chiuso degli studi radical-chic di pochi professionisti dell’anima, ma è strettamente connessa, nel bene e nel male, a tutto il resto5.

L’autore non si sottrae a questo “resto”, affrontando questioni difficili. Così, se in un primo momento si è imposto di “tacere e aspettare”, in seguito ha ritenuto di mettere in comune le riflessioni suscitate dalla pandemia, tramite un seminario dedicato a questo tema, poi divenuto il libro del quale sto parlando. Si tratta d’una riflessione profonda ad amplissimo raggio, al cospetto della novità imprevista dell’epidemia, che è stata un evento drammatico e di dimensioni planetarie.

Non mi è capitato spesso di leggere un testo di psicanalisi che non rifugge dalla politica e da una visione della società, ma ne tiene conto e non teme di esporre il punto di vista dell’autore. Le prospettive, le situazioni e le domande che la pandemia da coronavirus ha posto costituiscono l’avvio, l’antefatto da cui prende le mosse il libro e la cui vicenda rimane comunque presente sullo sfondo. La parte iniziale si sofferma a considerare le condizioni di drammatica novità e d’impasse provocate dai problemi di contagio e dai divieti intervenuti nel primo momento, come le restrizioni sulla mobilità e le sue conseguenze, che hanno indotto a ricorrere all’uso dei mezzi da remoto (uso di Skype et similia) quali sostituti di relazioni dirette.

Ho avvertito che la gravità dell’inusuale situazione (che per lungo tempo ha quasi totalmente risucchiato su di sé la realtà di ogni altro evento quotidiano) fosse descritta in questo libro anche come una ragione per soffermarsi su questioni e temi scomodi piuttosto trascurati, per pigrizia e/o per una forma di viltà intellettuale. Un motivo per riprenderli, per ricordare di che si tratta – come osserva con ironia Perrella –, quando ci troviamo alle soglie dell’abisso: “cioè sempre”, se vogliamo saperne qualcosa della condizione umana.

Sono molte le cose, tralasciate o abbandonate dalla politica, che l’autore sottopone ad una interrogazione serrata e coinvolgente. L’evento drammatico della pandemia è lo schiaffo che costringe a svegliarsi da un sonno di pensiero.

Nella traccia dell’attualità della pandemia, nel testo si parla di questioni fondamentali che s’intrecciano in fili tematici complessi: quello centrale, che percorre la trama di tutto il testo, della vita e della morte; la libertà e le sue limitazioni in conseguenza della pandemia; i timori per la tenuta delle strutture simboliche e i compiti che ci aspettano in questa direzione. E poi, ancora e necessariamente insieme, la psicanalisi, la formazione, l’etica.

Sulla psicanalisi, considerato il momento, è come se l’autore ci ricordasse la necessità di capire e riconoscere cosa sta accadendo, come tutto ciò ci riguardi e come non sottrarci a ciò che si presenta scomodo, proprio perché l’attualità è quella che è, e ci costringe volenti o nolenti ad un passo diverso, scandito dalla necessità.

Il testo ci ricorda anche una responsabilità che abbiamo in ciò che coinvolge la psicanalisi; considerando che il momento, per la sua drammaticità, costituisce una sorta di “cesura” fra un prima e un dopo. Cosa potremo e cosa vorremo fare? Quali pensieri mi ha lasciato la lettura del testo La psicanalisi oltre la pandemia? Inizierei dal nesso fra economia, politica e psicanalisi e dai legami fra la situazione politica globale e gli effetti che si riverberano sulla psicanalisi e nella vita civile.

A partire da una ricostruzione delle “tappe della psicanalisi”6, l’autore propone anche una lettura critica dei momenti culturali e delle condizioni politiche ed economiche che hanno contribuito a mutare il clima sociale e culturale di questi anni, con i molteplici effetti, anche sulla psicanalisi, che l’hanno appiattita all’interno di una idea di cura psicoterapeutica:

In questo contesto [abbandono in generale nelle economie occidentali delle politiche di welfare e imporsi dei dettati dell’economia liberista], la psicanalisi iniziò ad essere obbligata, prima in Italia, poi negli altri Paesi Occidentali, a rientrare nella psicoterapia sanitaria. Questo contraddiceva totalmente le concezioni che Freud aveva sostenuto nel suo scritto sulla psicanalisi laica. A mio modo di vedere, la psicanalisi non può essere che un’arte liberale, che in nessun modo può rientrare nell’impostazione sanitaria prevista dalle nuove leggi7.

Questo punto verrà ripreso ulteriormente nel testo, soprattutto nel quarto capitolo8, in una maniera che ho trovato inusuale e davvero interessante proprio per le riflessioni che offre, alcune inedite, almeno per me. Non so se è una mia personale impressione, ma in molti passaggi mi sembra si colga in maniera efficace la dimensione di senso, “creativa”, oltre che descrittiva, della parola. Quando l’autore, ad esempio, parla, nel primo capitolo, della differenza fra economia e finanza9, e di come ci troviamo tuttora immersi in una visione liberista (ma non molto liberale), si coglie la dimensione totalizzante di “questa visione”, che tende a divenire l’unica chiave di lettura di questa parte di mondo in cui viviamo. Nello stesso momento, proprio soffermandosi su questi punti, si può cogliere qualcosa di più della realtà che stiamo vivendo, nonché delle parole che descrivono la nostra vita e il nostro mondo (la nostra dimensione di senso). Le parole della politica, dell’economia stessa, sono appunto visioni, descrizioni della realtà in cui siamo immersi, ma non l’esauriscono e non è detto che non possano cambiare.

Problemi tecnici

Il secondo capitolo, Lavorare a distanza, parla dei legami fra psicanalisi e “contingenze sociali e politiche”.

La pratica della psicanalisi, come fu regolamentata da Freud, si svolge in uno studio dotato di un divano e di una poltrona. Il fatto che il lavoro si svolga dall’inizio alla fine in questa scena ben delimitata può dare l’impressione ­– non solo agli analizzanti, ma anche agli analisti – che tutto ciò che accade nel corso di un’analisi sia esterno alle contingenze sociali e politiche, come se ci si trovasse in un’isola riparata dalle offese della vita10.

Questo modo di pensare la relazione fra quello che si svolge nello studio e il mondo che c’è fuori dipende forse da una volontà di un rifuggire da qualcosa di scomodo; l’autore ci ricorda che non ci si può disinteressare della politica, della società, dell’economia, pena ritrovarsi estranei a quanto sta accadendo, a margine… Si tratta insomma d’un richiamo ad una condizione di realtà che implica la nostra partecipazione, poiché è in questione, appunto, la nostra vita e non possiamo ignorare quanto non ci convince.

In questo senso la pandemia da covid-19 avrebbe tracciato una vera e propria cesura, un “solco nella storia del nostro pianeta” poiché “ha demolito ad una ad una tutte le false certezze sulle quali erano state fondate le scelte economiche, politiche e civili della cosiddetta globalizzazione” di cui la pandemia è frutto. Da qui la necessità, secondo Perrella, di modificare i criteri distruttivi per il nostro pianeta, adottati da quasi mezzo secolo”, vale a dire, le condizioni che hanno reso possibile il verificarsi della pandemia stessa11.

In queste pagine si accenna anche ad altri possibili disastri, che, come l’innalzamento della temperatura media del pianeta – potrebbero divenire irreversibili”. “E dipende da tutti noi che ciò non accada”12. Riusciremo, come cittadini, ad essere presenti, a prendercene cura? Torneremo ad occuparci della nostra vita “comune” e delle scelte che la condizionano? Oppure ­– e sarebbe drammatico – chiuderemo gli occhi, per continuare a non voler rinunciare alla nostra quotidiana “libbra di carne”?

C’è un passaggio, che riguarda la pratica della psicanalisi, in cui Perrella osserva che, con la pandemia, si sarebbe chiuso anche il periodo della storia della psicanalisi in cui gli analisti sono rimasti passivi, accettando di fatto che la psicanalisi venisse assimilata ad una terapia sanitaria:

Quando, come è accaduto dopo la morte di Lacan, la psicanalisi – anche lacaniana o sedicente tale – accetta d’adeguarsi a delle norme sanitarie che non hanno nessuna relazione con la sua esperienza, si pongono dei limiti legali al passaggio dalla posizione dell’analizzante a quella dell’analista. Ma siccome, come hanno dimostrato Freud e Lacan, tutte le analisi – anche quando iniziano solo con uno scopo terapeutico si concludono con questo passaggio logico, accettare che esso sia subordinato ad un limite legale di qualunque genere significa accettare che la psicanalisi non sia più una pratica formativa […]. Senza libertà non c’è analisi. Ma senza libertà non c’è neppure democrazia13.

Credo che su tali questioni si stia giocando il destino della psicanalisi nonché degli spazi di libertà di pensiero e di parola: libertà civili, dunque, duramente conquistate nel corso del tempo e che rischiano di disfarsi, per effetto di approcci ermeneutici (in sede giurisprudenziale) orientati in termini pregiudiziali e illegittimi, in merito alla lettura della legge 56 del 1989, e di un clima culturale che sembra limitare il concetto di libertà, come annota l’autore, solo se corrisponde a “regole e ideali generali”14, vale a dire ad una modalità di pensiero conformista e totalizzante.

A proposito delle motivazioni che spingono gli analisti ad adeguarsi al “legalismo psicoterapeutico”, pur sapendo che questa prospettiva “schiaccia e distrugge la psicanalisi” e contrasta con l’etica della psicanalisi stessa, l’autore osserva che:

la risposta a questa domanda era già chiara poco meno di un secolo fa. Trasformare la figura dell’analista in quella d’un professionista sanitario poneva l’esperienza della psicanalisi al riparo dal suo rischio: quello d’essere una professione, ma anche di non esserlo15.

A quali rischi espone questa incertezza? Si tratta di un problema di legittimazione sociale? Di conformismo sociale? Recentemente ho visto, alla televisione, un’intervista rilasciata da Alberto Giacometti (scultore e pittore), in cui asseriva che, arrivati ad un certo momento della vita, molte certezze vengono meno e che lui, in alcuni momenti, si trovava persino a dubitare del suo essere effettivamente uno scultore. Nel momento in cui pensava e diceva queste cose di sé, le sue opere costavano una fortuna ma, per lui, il riconoscimento del loro valore, anche economico, non era sufficiente a rendere il suo lavoro una professione. Le statue di Giacometti hanno forse perso di valore e significato, per questa ragione?

Una serie di osservazioni apre ulteriormente la questione:

La psicanalisi non può essere illegale – quando è accaduto essa è scomparsa rapidamente-, ma non può neppure essere legale. E non può che rimanere in bilico fra queste opposte impossibilità. Gli effetti dell’analisi insomma, non possono mai essere garantiti, come non possono esserli quelli di un atto liberamente deciso da qualcuno. […] Il fatto è che la psicanalisi, in quanto professione liberale, se non diviene un’arte – quindi qualcosa di più che una professione – rischia di diventare un imbroglio, insomma una superstizione. E nessuna esperienza artistica può essere regolamentata ex lege. La legge non può esprimersi su tutto e ci sono dei campi su cui non deve esprimersi perché, se lo fa, nega la stessa cosa che pretende assurdamente di rendere legale, come la bellezza, l’amore, l’arte, l’etica, persino la giustizia16.

Il giurista Jean Carbonnier17, per il tramite dei fiori, mostra che ci sono ambiti che sfuggono per loro natura ad una regolazione giuridica. D’altra parte Freud lo sapeva bene e, nel suo articolo La questione dell’analisi laica, insiste circa la necessità, per gli analisti, non tanto di possedere una laurea qualsivoglia, ma di avere acquisito “la particolare formazione che gli serve per esercitare l’analisi”18.

Questi punti trovo siano importanti, soprattutto per mantenere viva una prospettiva aperta su ciò che rimane anche incerto: uno spazio civile e di pensiero aperto alla discussione, per non indulgere ad un imperativo di regole anche laddove non ve ne sia bisogno, per esempio in ambiti come la psicanalisi, che si sono dati da sempre al di là di un territorio “censito”, “normato”. Come annota Perrella, la bellezza, l’amore, l’arte, l’etica non rientrano in canoni prestabiliti, pena il dissolversi di ciò che li costituisce. Egli ci ricorda che:

per continuare ad essere la peste, la psicanalisi non può essere illegale, ma non deve neppure divenire legale, altrimenti cessa d’essere se stessa. La psicanalisi di nuovo è sulla soglia fra la legalità e l’illegalità19.

L’autore aggiunge qui un argomento che a me è parso vero anche se, quando l’ho letto, mi ha preso alla sprovvista; egli si chiede appunto:

Ora, che cosa c’è su questa soglia? La risposta – facilissima, ma per qualcuno potrebbe apparire sorprendente – è questa: la sovranità. Su questo concetto però torneremo più avanti. Per ora accontentiamoci d’una formula: la psicanalisi, se non è una pratica di sovranità – di allenamento all’esercizio della sovranità – non è psicanalisi, ma diviene una terapia e quindi una truffa20.

La confidenza e il confronto con la morte

Nel secondo paragrafo del secondo capitolo viene valutata una questione difficile, forse la più difficile per noi esseri umani; è una condizione rimossa ma tornata alla ribalta planetaria con la pandemia: la confidenza e il confronto con la morte. In queste pagine ci viene ricordato che la psicanalisi stessa, nata in un periodo di pace, si è dovuta confrontare con la morte (prima guerra mondiale, epidemia di spagnola nei primi lustri del Novecento) e che da quel confronto è provenuta l’introduzione del concetto di pulsione di morte nella teoria freudiana. Complessivamente, osserva l’autore, “alla fine dell’Ottocento, […] tutti avevano molta più confidenza con la morte di quanto non accada oggi”21.

A seguito della pandemia, per la prima volta nella storia, si osserva che

i principi fondamentali della “peste” psicanalitica sono stati messi in questione dalla diffusione d’un virus invisibile ma per niente metaforico. Noi analisti avevamo pensato che il simbolico determinasse per intero la vita di chiunque. Ma dinanzi a un’invasione di reale le reti simboliche hanno dimostrato di non tenere. Bisognava prima di tutto mettere un argine al reale e poi trasformare le reti simboliche, in modo tale da renderle più solide. Inutile dire che questo secondo lavoro, che richiederà degli anni, mentre scrivo non è ancora incominciato22.

In queste righe l’autore ci sta dicendo che le difese, eredi di un millenario lavoro di civilizzazione, nell’impatto con il reale del virus hanno mostrato di non tenere e che occorrerà lavorare molto per rafforzare e riformare il simbolico stesso.

Una lettura particolare dell’evento pandemia, colta nel suo richiamo al mito e ad una colpa commessa, viene proposta nel paragrafo intitolato La scialuppa. Ricorda l’autore che

Le epidemie che s’incontrano nella letteratura e nella storia hanno sempre costituito delle cesure nette e crudeli nella continuità della storia, non solo per gli effetti disastrosi e le stragi che hanno sempre prodotto, ma anche per la loro matrice mitica, che le fa sempre risalire alla giusta ira di Dio. Non è un caso che l’Edipo re di Sofocle ci presenti questo eccellente sovrano, giunto a regnare su Tebe per avere dato una risposta all’enigmatica Sfinge, alle prese con le cause di un’epidemia che sta facendo morire i suoi sudditi. […] Un’epidemia, nel mito religioso, non è un fatto naturale, ma è la punizione meritata da chi ha commesso una colpa gravissima, e così l’ha provocata23.

Qualche rigo dopo, c’è questa annotazione:

“In fondo la peste, per Sofocle, è la conseguenza del fatto che un parricida incestuoso è divenuto sovrano. Tutte le epidemie hanno sempre messo alla prova l’ordine costituito. E l’ordine costituito, nei Paesi Occidentali, oggi è quello che a torto o a ragione viene chiamato democratico. Perciò non era possibile non vedere che il sovrano parricida e incestuoso siamo tutti noi perché tutti i cittadini, nelle democrazie, sono sovrani. Come non vedere che, nell’Edipo re, si tratta proprio dell’implicito legame che esiste fra la sovranità e la colpa? E che quindi oggi, che lo si voglia o no, esiste anche fra gli errori della politica e la pandemia. […] Ma in che senso e fino a che punto noi, cittadini di regimi che si dicono – ed almeno in parte sono – democratici, siamo sovrani24?

Questo punto e la sua argomentazione costituisce un nodo particolare e importante. L’autore ci sta segnalando che, in quanto cittadini di regimi democratici, si è contemporaneamente anche “sovrani” e quindi responsabili, almeno in parte, appunto, di ciò che sta accadendo nella nostra società, così come lo sono i partiti e i governi per le scelte fatte ai vari livelli; scelte politiche che hanno determinato le condizioni attuali del nostro pianeta nonché dello Stato in cui viviamo.

In alcuni passaggi Perrella riprende il tema del mito di Crono a partire dalle parole di una analizzante che aveva ammesso di essersi trovata meglio nelle sedute a distanza, perché in quella situazione non correva il rischio di essere mangiata25. Si parla dunque di un fantasma di divoramento. Mi sono chiesta perché venisse sollevato questo tema in relazione alla pandemia e cosa significasse. Dopo alcuni passaggi l’autore osserva che “la situazione emergenziale ha solo consentito l’emergenza di un fantasma inconscio che, in loro”, cioè nelle persone che gliene hanno parlato, “era latente da sempre”26.

Perrella parte dalla considerazione che

tutti i bambini mangiano la madre, nell’allattamento, e sappiamo a che destini difficili vengano consegnati quando, nella struttura familiare, si producono le condizioni necessarie a sviluppare una situazione anoressico-bulimica. È chiaro tuttavia che l’immagine dell’allattamento non è mai stata socialmente censurata, ma anzi è sempre stata promossa come un simbolo della maternità27.

Nel testo l’autore ci ricorda poi le parole di Cristo nell’ultima cena: “prendete e mangiate, questo è il mio corpo” e che

il cristianesimo all’inizio non era altro che un’interpretazione del monoteismo ebraico e che la religione ebraica si era distinta dai culti pagani proprio perché aveva spiritualizzato il sacrificio del primogenito28.

A questo proposito viene ricordato il sacrifico di Isacco e l’uccisione dei primogeniti egiziani, nonché la necessità del riscatto dei primogeniti ebrei che “dovevano essere riscattati dal sacrifico, presentandoli al tempio e facendo un’offerta in cambio della loro vita”. La domanda che pone Perrella è: “Che cosa significa allora il grande mito dell’uccisione del figlio – e non del padre –, dal punto di vista della psicanalisi29?”; e si chiede anche quale sia la differenza fra il mito del parricidio e quello del figlicidio o della pedofagia, riportando la nostra attenzione sui miti fondamentali per la psicanalisi (complesso di Edipo e il Mito di Crono).

Lo scenario che si spalanca è scabroso, perché si tratta di tensioni reali fra il padre e i figli, tensioni che rendono il senso della realtà delle pulsioni aggressive non solo del figlio verso il padre, ma anche del padre per il figlio. Perrella ci ricorda che il mito di Crono è chiamato in causa per far comprendere che “le relazioni tra genitori e figli non sono determinate solo dall’amore ma anche dall’odio”; e “come, di conseguenza, anche i figli abbiano dei loro padri un terrore ancestrale e immaginario ma perfettamente, anche se solo miticamente motivato”30.

Mi sono chiesta dove ci stesse conducendo questo nesso tra pandemia, fantasma di divoramento e pulsioni aggressive per il tramite del mito di Crono, tenendo conto dello scenario determinato dalla pandemia e delle problematiche aperte da questa.

Nel secondo capitolo Perrella osserva:

Come ho detto di sfuggita già una volta, tutta la nostra vita, posta fin dal primo momento in bilico sull’abisso della morte, è sempre una situazione d’eccezione, anche quando nessuna pandemia minaccia l’economia e la società dell’intero pianeta31.

Forse, ho pensato, potrebbe essere proprio qui, nel cuore di questa situazione eccezionale e quotidiana, presente nella nostra condizione umana ed evocata drammaticamente dalla pandemia, che l’autore sta provando a ricondurci, ricordando di che si tratta, sempre! Anche in tempi normali la nostra condizione di esseri mortali ci pone di fronte a situazioni che ci conducono laddove siamo sempre, “fin dal primo momento in bilico sull’abisso della morte, e nella pandemia ritroviamo, ampliata in misura planetaria, questa stessa condizione.

Il capitolo successivo è intitolato La vita e la morte. In apertura Perrella cita lo struggente carme Epicedio per un passero di Catullo, e ci introduce ulteriormente nella difficile questione del nostro essere mortali… La bellezza dei versi ci accompagna e ci sostiene di fronte all’impensabile della morte. Scrive Perrella: “Il lutto non è che l’assunzione, nella morte dell’altro, della nostra finitezza. Per questo è sempre stato il primo indizio certo della civiltà”32.

Mi è venuto da pensare che nel nostro tempo, del lutto, non ne vogliamo sapere… Che può significare questo, rispetto al termine usato da Perrella “indizio certo” di civiltà? Azzardando un paragone musicale, si potrebbe dire che il tema della vita e della morte – intrecciato ai tratti umbratili di Thanatos e agli esiti di quest’ultimo, che possono condurre sino alle soglie dell’orrore e oltre – costituisce un basso continuo e un contrappunto ad Eros, che si avverte in tutto il testo. Perrella lo lascia e lo riprende, sotto molte angolazioni.

Abbiamo visto come lo stesso Freud, posto dinanzi all’orrore, abbia più volte indietreggiato, ritraducendo il mito di Crono nel mito di Edipo e il confronto con la morte nell’angoscia di castrazione. Freud ebbe la fortuna di morire poco prima dello scoppio della seconda guerra mondiale. Che cosa avrebbe pensato di sé stesso se avesse potuto constatare a quali orrori il nazismo avrebbe esposto il popolo al quale è sempre stato fiero di appartenere e la sua stessa famiglia? Senza dubbio non avrebbe potuto riferire quelle stragi al complesso d’Edipo, ma solo alla sua ombra cupa e misteriosa, che sta alla pulsione di morte nella stessa relazione in cui l’incesto sta alla pulsione sessuale33.

Questa “ombra cupa e misteriosa” che dissemina di stragi la storia umana, viene ascoltata? Lascia tracce di pensiero? Freud ne ha parlato in alcuni testi, e si può dire che purtroppo ci appartiene profondamente, volenti o nolenti, a partire dalla struttura familiare. Scrive Perrella:

Naturalmente non sto paragonando la pandemia attuale a una guerra mondiale che ha distrutto l’Europa e provocato decine di milioni di morti. Ma la morte è un oggetto speciale, che non ci sta mai dinanzi, esattamente perché non è mai un oggetto per nessuno. La morte è piuttosto l’evanescenza della nostra esperienza e quindi anche della nostra esistenza. Non ha bisogno di moltiplicarsi per cifre vertiginose per essere spaventosa. La morte è l’impensabile perché da lì negant redire quemquam, “si dice che nessuno torni”34.

Nella nostra epoca la morte è divenuta l’evento innominabile per eccellenza e questo non credo ci faccia bene, né come individui né in termini culturali. Come scrive Perrella, “Il lutto non è che l’assunzione, nella morte dell’altro, della nostra finitezza. Per questo è sempre stato il primo indizio certo della civiltà”35. Dopo aver accennato alla morte come “irreversibilità dell’atto” secondo le leggi della fisica36, Perrella si chiede da dove venga questa irreversibilità, accennando ad alcuni aspetti legati alla scienza e alla religione, che da sempre se ne è occupata, a partire dalla Bibbia. In queste righe mette in gioco il nesso fra morte e colpa, la nostra colpa. Alla domanda “da dove viene la morte?” l’autore risponde:

“Dalla stessa radice della vita. Eros e Thanatos non possono separarsi, ma si accompagnano sempre come due gemelli. Non possiamo vivere che a prezzo della morte”37.

Perrella fa solo un accenno al tema della libertà e all’ipotesi della “biopolitica”, fatta da Michel Foucault: La biopolitica comincia quando qualcuno ti dice: se vuoi salvarti la vita resta in casa, rinuncia alla tua libertà. Lo abbiamo fatto tutti. Ma fino a quando potremo tollerarlo?”38. Seguendo questo filo della libertà, l’interrogazione perviene ad una soglia particolare: quella fra la libertà e la morte. Dobbiamo fare bene i nostri conti, poiché abbiamo una sola vita. Qui viene introdotto un altro tema, anch’esso difficile e impegnativo, a proposito della psicanalisi: la libertà, la vita e la morte:

È qui, su questa soglia fra la libertà e la morte, che l’atto analitico deve diventare atto politico. In nome della libertà, in passato, molti hanno rinunciato alla vita, sapendo che una vita non libera non è degna d’essere vissuta39.

Trovo molto importanti i passaggi dedicati, nel terzo capitolo, ai temi dell’atto politico, dell’atto analitico e dell’atto sovrano40. Vi si trovano spunti originali, acuti e inusuali. Questo punto m’interessa molto, anche se trovo che sia piuttosto difficile, e non vorrei maltrattarlo riportandolo in termini brevi e riassuntivi. Vale senz’altro la pena d’indagarlo a fondo e spero divenga un tema su cui lavorare ulteriormente e collettivamente.

Sull’atto sovrano e la psicanalisi

Mi limito a indicare come mi appare la questione e ad accennare una riflessione che mi porterebbe a due possibili prospettive. La prima, a partire dalla relazione Stato/cittadino, mi ricorda l’impostazione del testo di filosofia del diritto del mio corso di studi (di moltissimi anni fa). In quel testo si ipotizzava, in linea generale e con qualche semplificazione, che ciò che non è proibito è da considerarsi permesso. In pratica in questi casi si ipotizza uno spazio libero dalla legge: un vuoto giuridico, non necessariamente da riempire in via generale con regole eteronome, e magari con prassi e consuetudini.

L’altra prospettiva parte da un altro approccio alla questione della regola. In tale secondo caso, la relazione Stato/legge/cittadino rimane sullo sfondo e ciò che viene considerato in primo piano è l’atto compiuto da una persona, al di qua e al di là di una preliminare definizione giuridica: liberamente e non necessariamente. Tutto ciò mi richiama alla mente le ipotesi del diritto naturale, in cui certi valori acquistano significato e tutela in sé, in senso assoluto – per quanto ci possa essere di assoluto nel consorzio umano –, al dì là delle regole poste da uno Stato e del momento di eccezionalità o meno. È chiaro che il diritto naturale è frutto di accordi e convenzioni, ma il punto che mi preme accennare è la differente prospettiva che apre un riferimento del genere. Credo si tratti di una responsabilità (etica) rimessa a ciascuno.

A questo proposito Perrella introduce la questione di ciò che fa atto e che, differenziandosi dagli eventi naturali, si sostanzia in una “decisione libera e non necessaria”. Per altro verso osserva che

mentre gli eventi naturali si svolgono sempre nell’osservanza delle leggi di natura, gli atti umani comportano il non rispetto di una legge. Finché si rispetta la legge non si compie un atto, ma ci si adegua alla legge stessa.

Perrella contestualizza la questione, lasciando sullo sfondo “i confini tra un concetto e l’altro”41. Le caratteristiche che l’autore individua sono: “libertà della decisione, sfida a una legge” in quanto costitutive dell’atto, e anche dell’atto politico. Osserva che ci sono molte specie di atti, che sono passibili d’essere giudicati42. L’autore fa alcuni esempi: il buon samaritano, che soccorre l’ebreo ferito (nella parabola del vangelo) e che, compiendo quell’atto, universalizza il principio secondo cui qualunque essere umano, a qualunque popolo appartenga, è un nostro “prossimo” (atto etico); la presa della Bastiglia da parte del popolo parigino; o il passaggio del Rubicone di Giulio Cesare, esempi di atto politico.

Un atto, per essere politico, deve interessare la comunità, osserva Perrella43. Ed aggiunge su questo punto che

per compiere un atto politico, non serve essere Presidente del Consiglio o ministro o parlamentare. I parigini che attaccarono la Bastiglia non erano deputati, ma semplici francesi. Eppure compirono un atto politico, come facciamo noi quando andiamo a votare per questo o quel partito44.

Su questo inciso si potrebbe introdurre una distinzione: nella presa della Bastiglia i parigini compirono la rottura di un regime e ne introdussero un altro; nel caso del voto dei cittadini, pur trattandosi senz’altro di atto politico, questo avviene seguendo le regole costituzionali. Infatti Perrella ci ricorda che anche l’atto politico è passibile di essere giudicato secondo le regole dell’ordinamento giuridico, in termini politici e anche in termini “morali e/o etici”, mentre “al tempo dell’impero romano […] un atto dell’imperatore non poteva venire valutato giuridicamente perché era considerato sovrano, e quindi era superiore al diritto”45. Inoltre aggiunge :

Perciò un atto di libertà è sempre anche un atto di sovranità. Per questo motivo fra poco dovremo chiederci se solo gli atti politici sono atti sovrani o se lo è qualunque atto, anche se naturalmente l’esempio del samaritano sembra fin d’ora farci predisporre a concludere che la seconda ipotesi è più vera della prima”46. Più avanti, riprendendo la questione dell’atto analitico, l’autore, a proposito del caso del Piccolo Hans, si chiede che tipo di atto abbia compiuto Freud quando, parlando con il bambino, gli dice che già tempo prima che egli venisse al mondo “già sapeva che sarebbe nato un piccolo Hans che avrebbe voluto così bene alla sua mamma da aver paura, per questo, del babbo, e tutto questo l’avevo raccontato al suo papà”47.

Commentando le parole di Freud, Perrella annota che in questo caso

Freud non si limita a ricostruire la figura paterna come se fosse un rudere da restaurare, ma s’insedia in prima persona nel posto che prima aveva erroneamente delegato al padre: quella dell’analista. Egli assume infatti la posizione di senso di colui che sapeva48.

Notando che Freud aveva assunto, nel transfert, la posizione che il padre di Hans non era stato in grado di occupare, Perrella si chiede: “Ma la posizione del padre che posizione è? È quella del soggetto sovrano”49. Per quanto sorprendente possa essere questa considerazione, se pensiamo al piano della funzione paterna, a cui si riferisce, essa è sicuramente corretta. Così come è comprensibile il richiamo ad una funzione simile, seppure a tempo, svolta dall’analista (“soggetto supposto sapere”) nel corso di un’analisi, funzione propria dell’atto analitico, che coinvolge analista ed analizzante.

Credo che questi aspetti, da sempre, risultino scomodi e restino invisi o non compresi. Si accettano mille dipendenze nella vita quotidiana, ma pare che la realtà del transfert e la sua funzione costituiscano qualcosa di pericoloso e scabroso… Perciò mi sembra che il concetto di sovranità, legato alla libertà dell’atto compiuto dal soggetto, e declinato nel testo su vari piani e relazioni (atto politico, atto analitico, atto sovrano), implichi una riflessione complessa sulla relazione Stato/cittadino in cui ci sia spazio per considerare ciò che nella vita civile di un individuo viene regolato dall’ambito giuridico e ciò che resta e deve restare esclusivamente personale ed esente da intromissioni statuali o normative50.

Il lavoro di Perrella ci esorta, come compito, anche a un’interrogazione etica sul significato del termine “libertà” nella nostra società attuale.


1 E. Perrella, La psicanalisi oltre la pandemia. Atto analitico, atto politico, atto sovrano, Poiesis editrice, Alberobello 2020. 2 M. Mannoni, Un sapere che non si sa, Spirali/Vel, Milano 1989, p. 95. 3 E. Perrella, op. cit., p. 5. 4 Ibid., p. 5 sg. 5 Ibid., p. 6. 6 Cfr. p. 15 sgg. 7 Ibid., p. 18. 8 Ibid., p. 89 sgg. 9 Ibid., p. 28 sgg. 10 Ibid., p. 33. 11 Ibid. 12 Ibid. 13 Ibid., p. 33 sg. 14 Ibid., p. 34. 15 Ibid., p. 34 sg. 16 Ibid., p. 35. 17 In un testo cit. da Perrella alla nota 1 del secondo capitolo. 18 S. Freud, La questione dell’analisi laica. Conversazioni con un imparziale,Mimesis Edizioni, Milano 2012, p. 110, 19 Ibid., p. 37. 20 Ibid. 21 Ibid., p. 38. 22 Ibid., p. 40. 23 Ibid., p. 42 sg. 24 Ibid., p. 43. 25 Ibid., p. 46. 26 Ibid., p. 47. 27 Ibid., p. 48. 28 Ibid. 29 Ibid., p. 49. 30 Ibid., p. 59. 31 Ibid., p. 64. 32 Ibid., p. 66. 33 Ibid., p. 65. 34 Ibid. 35 Ibid., p. 66. 36 Ibid., p. 66 sg. 37 Ibid., p. 68. 38 Ibid., p. 69. 39 Ibid. 40 Cfr. ibid., p. 70 sgg. 41 Ibid., p. 72. 42 Cfr. ibid., p. 73. 43 Ibid., p. 75. 44 Ibid. 45 Ibid., p. 76. 46 Ibid. 47 Ibid., p. 79. 48 Ibid. 49 Ibid., p. 81. 50 Su questi termini e questioni vedi anche i testi di G. Le Gaufey, Appartenere a sé stessi. Anatomia della terza persona, Polimnia Digital Editions, Sacile 2019; J. Carbonnier, Date lilia, “I quaderni di Lacan-con-Freud.it”; M. Manghi, Psicanalisi senza cura. Atto psicanalitico e atto terapeutico. Polimnia Digital Editions, Sacile 2021.