febbraio 2024

Alcune considerazioni sulla morte di Alekseij Navalnyj di Ettore Perrella

1. Alcuni anni fa, quando Alekseij Navalnyj, sopravvissuto fortunosamente e grazie a un ospedale berlinese all’avvelenamento tentato dai servizi segreti russi (dei quali Putin era stato un esponente), decise di tornare in Russia, mi chiesi subito perché lo facesse, e che cosa sperasse d’ottenere. In effetti, fu arrestato appena sbarcato dall’aereo, ed era del tutto evidente già allora che, dal gulag in cui fu confinato, non sarebbe mai uscito.

Alcuni giorni prima d’essere definitivamente fatto “scomparire”, è stato lui stesso a dare una risposta alla mia domanda, in un messaggio ritrasmesso dai media di tutto il mondo, in cui ha detto, più o meno, queste parole: “Se mi uccideranno, questo dimostrerà la nostra forza” (non dimentichiamo che Navalnyj era il leader di un partito politico).

Beninteso, questo messaggio non risponde appieno alla ragionevole domanda che mi ero posto, perché ci sono solo due casi – con una differenza non trascurabile – in cui sacrificare la vita è un atto sovrano di libertà: la fede e la guerra. Il primo caso è facile da capire: quando Cristo accetta di morire per testimoniare della nuova alleanza, lo fa perché la fede non marcia con gli eserciti. Anche il secondo caso è facile da capire, perché nessun soldato (o – ma è lo stesso – nessun rivoluzionario) è mai sicuro di morire in guerra (o nella rivoluzione). Molti soldati sopravvivono e i rivoluzionari qualche volta diventano capi di stato, come Lenin, Mao o Fidel Castro.

Tuttavia Navalnyj non era un leader religioso, ma un leader politico. Lenin, per esempio, aveva accettato tranquillamente di vivere in Svizzera, finché la situazione della Russia non fu talmente grave da rendere accettabile il rischio di tornare. Ma la sorte di Navalnyj e quella di Lenin non si assomigliano affatto, perché il primo non pensava di certo che la situazione della Russia attuale comportasse nessuna possibilità concreta d’una rivoluzione democratica (ammesso che una rivoluzione democratica sia, in generale, possibile).

2. Perché, allora, Navalnyj ha voluto sfidare Putin e ritornare in Russia? E in che modo il suo tempestivissimo messaggio, pochi giorni prima d’essere ucciso, può esserci utile per rispondere alla mia domanda?

Non dimentichiamo che Navalnyj e Lenin avevano solo due tratti in comune: erano entrambi dei leader politici ed erano entrambi russi. E la Russia non assomiglia affatto né all’Europa né all’Asia. Non assomiglia all’Asia perché è un paese profondamente cristiano, ma non assomiglia all’Europa perché non è affatto un paese democratico.

Navalnyj tuttavia era democratico, ma era anche nazionalista. Perché era russo. E, se si toglie l’impero, si toglie anche la Russia. Il problema da cui siamo partiti – perché Navalnyj ha voluto correre il rischio di morire? – diviene allora quest’altro: può esserci in Russia una democrazia? E dietro questo problema ce n’è un altro, ancora più insidioso: che cosa può essere, oggi, una democrazia? Non solamente in Russia, ma dovunque?

Non dimentichiamo che anche gli Stati Uniti d’America, il modello stesso della democrazia per i paesi europei, rischiano d’eleggere Presidente per la seconda volta Donald Trump, che non è solo un sostenitore di Putin, ma ha già dimostrato d’essere tutto il contrario di quel che dovrebbe essere un successore di Lincoln e di Roosevelt. E non dimentichiamo che anche in Europa alcune democrazie sono già diventate delle democrature, come l’Ungheria, o rischiano di diventarlo, come l’Italia (nel caso che la riforma costituzionale prevista da Giorgia Meloni fosse approvata). Come si vede, quindi, il problema se una democrazia in Russia sia possibile riguarda anche tutti noi, quando andiamo a votare. In realtà non mancano nella storia esempi di democrazie che diventano democraticamente delle dittature, come nella Germania nazista.

3. Come poteva, quindi, Navalnyj essere al tempo stesso democratico e nazionalista? Lo poteva, perché la Russia non è niente, se non è un impero. E lo stesso vale – o dovrebbe valere – per gli Stati Uniti o per l’Europa.

La morte di Navalnyj, con la guerra in Ucraina, dimostra che la Russia è governata da un gangster. E un gangster non può essere un sovrano, ma solo un tiranno. Qualcuno ha detto – e potrebbe essere un ottimo suggerimento – che un governo russo in esilio si potrebbe formare, in questa situazione. Ma questo governo dovrebbe essere riconosciuto ed accolto da tutti i governi dei paesi democratici. Questi accetterebbero il rischio?

Purtroppo – o per fortuna –, una cosa è sicura: i paesi democratici non si sono accollati il compito di difendere l’Ucraina dalla Russia, se non indirettamente, finanziando la guerra (cosa che faticano sempre più chiaramente a fare).

L’Ucraina vale una guerra mondiale? Sicuramente no. E questo è chiaro assolutamente a tutti, ivi compreso Putin, che quindi, presumibilmente, se non avverranno fattori imprevedibili, vincerà questa guerra, ad eterno disdoro della democrazia e dell’intero Occidente. Ma l’Ucraina, per Navalnyj – che pure era mezzo ucraino –, fa parte integrante dell’impero russo. Ne consegue che non possiamo affatto sovrapporre la sua concezione della democrazia con quella occidentale.

4. Oggi non c’è, in tutto quello che sto dicendo, niente di sicuro, se non che la figura di Navalnyj aveva – e continua ad avere – un  fascino evidente (temo più in Occidente che in Russia). Aveva, per esempio, una strana bellezza spirituale, che lo faceva assomigliare non ai politici, russi o occidentali, ma agli eroi di Dostoevskij. In Russia, del resto, questa strana bellezza è davvero molto frequente. È come se, dietro gli occhi chiari di Navalnyj, come di molti russi, si manifestasse immediatamente un’anima. Biondo era e bello, e di gentile aspetto, come scrisse Dante di Manfredi. Del fatto che, a differenza dei politici odierni, Navalnyj avesse un’anima, nessuno ha mai potuto dubitare, come se fosse una specie di Alësha, diventato leader politico.

Navalnyj ha lasciato in Europa una moglie – che vive prudentemente in Germania – e che si è detta disponibile a guidare la sua partita politica dopo di lui. Non posso che dire che fa bene, anche se non posso sapere se questo avrà qualche effetto politico concreto. L’unica cosa sicura è che Putin potrebbe tentare d’uccidere anche lei, anche se vive in Europa (come, qualche giorno fa, è stato ucciso in Spagna il militare russo che è approdato in Ucraina con un elicottero, all’inizio della guerra, per chiedere asilo politico in Occidente).

Mi sembra comunque straordinario che molte persone, in Russia, rischino giorni di galera per mettere un fiore su alcuni improvvisati monumenti alla resistenza e alla memoria di Navalnyj. Anche questo è dostoevskiano, o forse tolstoiano. Tuttavia, purtroppo, Dostoevskij e Tolstoj erano grandi scrittori, non politici.

5. Poche parole per concludere, con un’altra domanda: abbiamo davvero a cuore la democrazia? Se sì, lo dimostreremo solo con quello che faremo per difenderla. Non soltanto in Russia, ma anche in Occidente.

Forse la vera domanda, che Navalnyj, con i suoi occhi limpidi, pone a tutti noi, è proprio questa: come potrà la democrazia sopravvivere, in un mondo che è sempre meno governato da princìpi realmente democratici? Come potremo fare resistenza all’avanzamento progressivo delle destre illiberali e delle tirannie, non solo in Russia, ma anche in Occidente?